Sandro Mazzola Italia

Mazzola ha rilasciato un’intervista dove rivela episodi di doping e di combine, ma il mondo non è sembrato accorgersene (a differenza della torta salata di Wayne Shaw)

Fra i mali che affliggono il mondo del calcio, ce n’è uno che negli ultimi anni si è particolarmente cercato di combattere: quello del calcioscommesse e, più in generale, delle “combine”. Nelle ultime due settimane si sono avuti un paio di spunti interessanti per valutare l’approccio che stampa e tifosi tengono di fronte a questo problema. Il modo in cui i fatti che andiamo ad analizzare sono stati trattati, però, è diametralmente opposto.

Il primo evento che ha destato clamore ha visto coinvolto Wayne Shaw, il portiere di riserva del Sutton. Probabilmente chiunque lo avrà conosciuto qualche giorno fa sui social e non per meriti sportivi: Shaw è stato bersagliato dal web – a volte in maniera divertente, altre volte meno – per via della sua forma fisica, che sembrerebbe inconciliabile col ruolo di estremo difensore di una squadra di calcio, perfino del suo Sutton, che milita nella National League (quinta divisione inglese).

La squadra londinese è balzata agli onori della cronaca per essere eroicamente giunta agli ottavi di finale della FA Cup, la più antica competizione inglese, il cui prestigio è equiparabile a quello della stessa Premier League. Prima ancora che si giocasse il turno in questione, che vedeva contrapposto il piccolo Sutton al blasonato Arsenal, l’attenzione è stata posta su questo singolare portiere di 45 anni, il cui ruolo nella squadra è evidentemente quello di mascotte più che di effettivo in campo.

Quando ha avuto luogo il match Wayne, consapevole di avere gli occhi puntati su di sé, ha allestito un piccolo show. Prima della partita ha passato il tagliaerba sul campo e l’aspirapolvere nei pressi della panchina, poi all’intervallo del match – dignitosamente perso dal Sutton per 0-2 – si è recato al pub dello stadio per prendere una birra e infine, all’82, il gesto dello scandalo: Shaw, mentre era ancora in panchina, ha mangiato una classica torta salata inglese (“pie”).

La reazione degli spettatori inizialmente è stata divertita, ma dopo poco sono piovute critiche sul corpulento portiere del Sutton: è emerso infatti che un’agenzia di scommesse (fra l’altro sponsor proprio del Sutton) aveva quotato 8 a 1 che Shaw avrebbe mangiato una “pie” durante la partita e che il portiere fosse a conoscenza di questa scommessa; anzi, lui stesso ha ammesso che il gesto è stato ispirato proprio dalla scommessa in questione. Queste dichiarazioni hanno praticamente costretto il Sutton a licenziare Shaw, mentre la Football Association ha aperto un’inchiesta.

Le reprimende sono state parecchie, tuttavia non ho personalmente riscontrato lo stesso fervore per il secondo evento che si va ad analizzare. Anzi: il fatto che andremo ad esaminare non è stato minimamente portato all’attenzione del grande pubblico. Pochi avranno notato che, qualche giorno fa, sul Corriere della Sera il giornalista Aldo Cazzullo ha intervistato il grande Sandro Mazzola, protagonista indiscusso del calcio italiano negli anni Sessanta-Settanta con la maglia dell’Inter e della Nazionale.

L’intervista, dal titolo Sandro Mazzola: «Dopo Superga fui rapito dalla compagna di papà. Nei miei sogni gioco con lui», ha alcuni spunti interessanti, riprendendo fatti più o meno noti: per esempio viene riportato il rapporto di Sandro con Benito Lorenzi, oppure della volta in cui Puskas, al termine della finale di Coppa dei Campioni vinta dall’Inter ai danni del Real Madrid, paragonò Sandro al padre Valentino, campione del Grande Torino fatalmente scomparso nella tragedia di Superga. Quello che però dovrebbe finire in primo piano nell’intervista è ben altro.

Ad un certo punto dell’intervista troviamo questo botta e risposta:

  1. Suo fratello Ferruccio ha denunciato che Herrera vi drogava; e lei ne prese le distanze.
  2. È vero. Ci dava una pastiglietta, che noi sputavamo. Così cominciò a scioglierla nel caffè. Non ne sentivo alcun bisogno, ma erano pratiche correnti nel calcio dell’epoca.

La dichiarazione è forte. Scoperchia quel rapporto proibito che il calcio ha avuto col doping per parecchi anni e che solo negli ultimi tempi sembra – forse – essere migliorato. Eppure non ci si sofferma particolarmente sulla questione, forse perché già il fratello di Sandro, Ferruccio, aveva rivelato questa pratica oscura di Herrera, a quanto pare molto in voga all’epoca; qualcun’altro potrebbe pensare proprio per i miglioramenti apportati alla lotta al doping.

Ma poco dopo, continuando a leggere, probabilmente si proverà una sensazione simile di fronte a questo scambio:

  1. È vero che al Mondiale del 1970 combinaste il pareggio con l’Uruguay?
  2. Sì. Noi avevamo battuto la Svezia, con una ciabattata di Domenghini, come scrisse Brera; loro avevano sconfitto Israele; con il pareggio eravamo tutti qualificati. Venne il loro capitano a dirmi: “Hombre, hoy nosotros empatamos”. Avvertii gli altri: con l’altura, fu un sollievo per tutti, a parte Bertini, che voleva sempre vincere, anche le partitelle. Cominciò a correre e a picchiare come un matto. Gli uruguagi erano furibondi: “Este hombre está loco”!

Poco dopo aggiungerà di aver tentato di combinare anche una partita contro la Polonia nel Mondiale del ’74 ma con scarso successo. A questo punto lo scandalo sembrerebbe servito. In realtà le dichiarazioni di Mazzola non hanno avuto alcun rilievo mediatico.

Quasi tutte le altre testate che hanno riportato l’intervista si sono soffermati su altri dettagli come un mancato passaggio alla Juventus o come la fine del suo rapporto lavorativo con Massimo Moratti. I riferimenti al doping e soprattutto alle combine sono difficilmente rintracciabili sul web. Personalmente ho avuto conoscenza dell’intervista solo casualmente tramite un tweet del noto giornalista Paolo Condò che vi faceva riferimento (uno dei pochissimi a notare il pezzo). Dei compagni di Mazzola solamente De Sisti ha rilasciato una dichiarazione, riportata dall’Ansa, dove dice di non ricordare quanto accaduto.

A questo punto sorge spontaneo chiedersi per quale motivo la scommessa della torta salata di Shaw ha scatenato l’indignazione di stampa e di molti appassionati mentre le parole di Mazzola sono state fondamentalmente ignorate. È stata condannata la condotta di un portiere 45enne non professionista (la National League è il vertice del calcio dilettantistico, della cosiddetta “non-league”), che col suo gesto ha risposto con autoironia allo scherno del web, per il semplice fatto che fosse a conoscenza di una scommessa – non che avesse scommesso una somma su di sé – che niente aveva a che fare col risultato sportivo e che solo i folli bookmakers inglesi potevano pensare di quotare.

Una conoscenza della scommessa, quindi, sicuramente sufficiente per aprire un’inchiesta, ma non per giungere a condanne disciplinari o a giudizi in merito alla sportività del portiere; altrimenti dovremmo puntare il dito contro qualunque professionista, inevitabilmente consapevole che sulla propria condotta sportiva ci sono innumerevoli scommesse.

Dall’altra parte, però, è calato un silenzio imbarazzante su quanto detto da Mazzola, un simbolo del calcio italiano che ha ammesso di aver infangato la più alta manifestazione del suo sport insieme ai suoi compagni. Non si vuole infangare la memoria di quella Nazionale, autrice della leggendaria “Partita del Secolo” contro la Germania proprio nel 1970, nonostante abbia fatto qualcosa di estremamente condannabile.

La stessa cosa che all’Europeo del 2004 tanto abbiamo criticato a Danimarca e Svezia e che ancora ci brucia. Cosa peggiore, però, è che leggendo l’intervista a Mazzola non sembra emergere alcun pentimento; magari c’è stato, ma non traspare minimamente. Così facendo le combine vengono percepite come qualcosa di assolutamente normale ed ordinario, non come qualcosa di turpe. Addirittura il povero Bertini passa come il “loco” della situazione, un pazzo che stava per rovinare tutto, mentre è stato l’unico a tenere un comportamento rispettoso del calcio e del pubblico.

Quanto Mazzola ha dichiarato che la Nazionale fece nel 1970 va contro la lealtà che lo sport incarna. Se non condanniamo questi gesti, per quanto commessi dai nostri eroi, dai nostri riferimenti, non supereremo mai il problema anzitutto da un punto di vista culturale. Per quanto sia stata grande quella squadra, non va comunque oltre i valori della competizione.

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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