she's gotta have it

Il fascino del formato seriale continua la sua inesorabile ascesa

Si è lasciato travolgere anche Spike Lee, che ci regala un rifacimento patinato del lungometraggio: She’s Gotta Have It, da lui scritto, diretto e interpretato nel 1986. L’omonima serie, distribuita da Netflix, è stata già confermata per una seconda stagione. Racconta di Nola Darling, la fiera e bellissima protagonista.

Nola (DeWanda Wise) è una giovane artista nera di Brooklyn, una pittrice di talento; una ritrattista raffinata, anticonformista, libera e complessa. She’s Gotta Have It arriva subito al dunque, il monologo iniziale mette in chiaro le cose. È la stessa pittrice a presentarsi al pubblico guardando dritto in faccia lo spettatore dall’intimità della sua camera da letto.

Chi è Nola Darling?

“Vorrei che sapeste che il vero motivo per cui faccio questo è che c’è chi crede di conoscermi. Pensano tutti di sapere come sono, ma la verità è che non mi conoscono. Comunque se ciò aiutasse altre persone a farsi avanti ne sarei felice. Mi ritengo una persona anomala. Ma chi vorrebbe essere uguale agli altri? Di certo non io. Alcuni mi chiamano “sgualdrina” ma io detesto quella parola. Non la condivido, non credo in etichette di una sola parola”.

Questo il suo monologo, non totalmente uguale a quello del lungometraggio, che si apre nello stesso identico modo, ma pienamente in linea con il senso del discorso di Nola nella versione anni Ottanta. E già solo da questa premessa è facile capire come She’s Gotta Have It si presenti come un prodotto estremamente interessante.

Perché? Semplice: Nola frequenta tre uomini, è sessualmente libera, ha scelto di non avere una storia d’amore convenzionale e appartiene solo a se stessa; tutto questo oggi come trent’anni fa non lascia indifferenti.

She’s Gotta Have It ci presenta i fatti, lasciando a noi ogni possibile giudizio morale: una giovane donna ha relazioni sessuali con tre uomini contemporaneamente e non ha la minima intenzione di fare una scelta.

I tre personaggi, completamente differenti tra loro, sono volutamente iper-caratterizzati.

Jamie Overstreet è un uomo d’affari di successo, maturo, sposato, molto premuroso ma a tratti noioso; Greer Childs è un modello eccessivamente pieno di sé e Mars Blackmon (interpretato nel film dallo stesso Spike Lee) è un ragazzo sopra le righe, simpatico e un po’ volgare. Tutti e tre sono consapevoli dell’esistenza degli altri amanti, tutti e tre accettano la cosa, ma in realtà vorrebbero convincere Nola ad abbandonare gli altri due. Spunta nel corso delle puntate anche un quarto incomodo, o meglio una quarta incomoda, un’affascinante donna con cui la bella ritrattista decide di prendersi una pausa dai suoi uomini. La storia sessuale tra le due è una delle più grandi differenze con il lungometraggio, in cui la relazione omosessuale non viene concretizzata.

Le scelte della protagonista inevitabilmente la portano a subire delle pressioni, sia da parte dei suoi amanti, sia da parte della società. Di sfondo alle movimentate vicende sentimentali di Nola i cambiamenti del quartiere di Fort Greene, zona di Brooklyn storicamente afro-americana, evolutasi e divenuta sempre più multietnica.

She’s Gotta Have It intreccia nei vari episodi gli incontri di Nola con i suoi amanti e i suoi sforzi di affermarsi come pittrice. Tutto questo ci porta, puntata dopo puntata, a conoscere a fondo la personalità della donna e dell’artista, una personalità forte e magnetica, che riesce a superare le proprie paure con creatività e decisione, esaltando in ogni azione la propria potente femminilità.

Un esempio su tutti delle sua tenacia è la reazione a un’aggressione per strada. Approcciata in modo inopportuno reagisce sfogando frustrazione e rabbia attraverso la sua arte, tappezzando il quartiere di immagini e divenendo quasi involontariamente promotrice di una campagna femminista: My name isn’t.

Nola diventa simbolo di un moderno concetto di parità, nel letto e fuori dal letto.

Spike Lee confeziona una serie esteticamente ammaliante, sfacciatamente intrisa di cultura afro-americana, impreziosita da una stupenda colonna sonora totalmente black. Il regista mostra tutti i titoli e le copertine degli album usati, rendendo omaggio ad ogni artista citato.

She’s Gotta Have It ci (ri)presenta Nola Darling a distanza di più di trent’anni e se da un lato non si può che empatizzare con l’artista del My name isn’t, dall’altro non è difficile ritrovarsi a non comprendere a pieno le scelte della donna e dell’amante.
Proprio in questo Spike Lee ha colto nel segno, presentandoci il conto di un femminismo che in ben tre decenni non è riuscito ad abbattere ogni bigottismo. La libertà sessuale delle donne, è difficile da ammettere, ma fa ancora paura, anche (spesso inconsciamente) alle donne stesse.

Chiudo domandandomi: c’era proprio bisogno di ripresentare un personaggio degli anni ’80? E la risposta è: senza dubbio .

Scritto da:

Antonella Morleo

Nata nel pieno dei fantastici anni ’80 tra gli argentei ulivi pugliesi. Vedo più film e serie tv che persone! Per questo ho scelto di parlarne su Inchiostro Virtuale.