satira charlie hebdo
Viviamo in una società che misura la satira con una morale selettiva: se irride gli altri è satira, se schernisce noi è ributtante.

La satira, baluardo della libertà di espressione, sancito anche dalla nostra Costituzione, ci ha accompagnato sin dai tempi antichi, ma è tornata sulle pagine di cronaca negli ultimi anni per episodi purtroppo tristemente famosi, in alcune occasioni osannata, in altre condannata come riluttante. Oggigiorno la parola satira è utilizzata spesso e volentieri in modo improprio. Facciamo allora un utile quanto rapido ripasso di storia.

Chi, come me, ha frequentato il liceo classico, sicuramente non dovrà fare un grosso sforzo di memoria per ricordare la professoressa di latino quando, baldanzosa, citava Quintiliano dicendo “satura quidem tota nostra est”. In realtà la professoressa sapeva bene che fu la commedia greca di Aristofane a fare della satira politica un perno fondamentale. L’orgoglio della prof però non era del tutto ingiustificato, infatti la codificazione del genere letterario si deve proprio alla letteratura latina, che usava la satira con obiettivi mirati servendosi dei più svariati argomenti.

Proseguendo nella nostra ricostruzione storica, la satira sopravvisse al Medioevo, dove si predilesse la satira allegorica che utilizzava gli animali per descrivere i comportamenti degli uomini, e approdò al Rinascimento con l’utilizzo del dramma satiresco, di chiara ispirazione greca, ma più elegante ed evoluto, avvicinato di molto alla commedia a sfondo morale e sociale. Poi fu la volta dell’Illuminismo, che vide un ampio uso della satira, in particolare diretta contro i privilegi del clero e dei nobili. Nel corso dell’Otto-Novecento avvenne la commistione tra il genere comico, umoristico e la satira, probabilmente la fonte di molti misunderstanding attuali circa il vero e proprio significato, da un lato, e il fine, dall’altro, della satira.

Infatti, la satira non va confusa con la comicità, con l’ironia o il sarcasmo, con i quali condivide alcuni punti, ma si trova in una situazione più tipicamente borderline. La satira non è nata per far ridere, ma per indignare.

La cosa rilevante, però, è che solo nel corso di questo periodo si ebbe l’espansione della satira anche all’arte figurativa e, grazie ai nuovi media, ad ogni forma di spettacolo. Possiamo quindi affermare che questa ha sempre avuto una forte impronta politica, ma nel corso della sua evoluzione si è andata concentrando su vari aspetti che caratterizzano la vita quotidiana e la società.

Ad oggi per satira si intende qualsiasi attacco critico, letterario o artistico, che, attraverso lo scherno o il ridicolo, colpisce personaggi o categorie detentori del potere politico, stereotipi culturali o sociali comuni ad una categoria di persone o una società,  che contrastano con la morale comune.

La Cassazione ne ha dato una definizione nel 2006:

La satira è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.

Perché tutte queste puntualizzazioni, vi chiederete voi. Le tristemente note vicende, che hanno colpito il nostro Paese negli scorsi mesi, hanno riacceso i riflettori proprio sulla satira e su quale sia il confine che questa non può superare per non offendere il buon costume.

Tuttologi da grandi occasioni, tirate fuori il vestito buono e liberate il vostro leone da tastiera, è suonata l’ora di demagogia sui social network!

Ora, prima di tutto bisogna dire che non esistono compromessi quando si parla di satira. Se è satira, lo è sempre, non solo quando tocca qualcun altro. Se non indigna, non è satira.

Il protagonista dei fatti controversi cui faccio riferimento è il settimanale francese Charlie Hebdo.

    

A seguito della pubblicazione di queste due vignette, la prima dopo il terremoto che ad Agosto ha colpito il centro Italia e la seconda a seguito della valanga abbattutasi sull’hotel Rigopiano, si è levato un vento di polemica di buonisti e sostenitori del politically correct. Possiamo definire queste vignette brutte? Assolutamente sì. Ci sentiamo indignati? Giustissimo. Ma questa è satira. Non fa ridere? La satira non è nata per far ridere, deve far riflettere attraverso la dissacrazione (come sottolineato nel previo ripasso di storia).

Ma ecco i tuttologi da grandi occasioni, ormai vestiti di tutto punto, salire in cattedra a spiegare cosa sia la satira, senza cognizione di causa. Senza cognizione di causa come quando, a seguito dell’attentato del Gennaio 2015 proprio alla sede di Charlie Hebdo, non persero tempo a proclamarsi fermamente sostenitori tanto della libertà di espressione quanto del settimanale francese al grido #JeSuisCharlie!

Sebastian Tanti Burlò

Improvvisamente dopo la pubblicazione delle vignette sulle tragedie italiane, in molti si sono resi conto che non sapevano affatto cosa avevano tanto prontamente difeso, né il tipo di vignette che il settimanale fosse solito pubblicare. Ma, in fondo, in quanti conoscevano le vignette di Charlie Hebdo prima dell’attentato?

Questa rivista fa da sempre satira aggressiva e politicamente scorretta, a volte fastidiosa ed offensiva, irriverente e dissacrante, noir se preferite.

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Perché quando i protagonisti non eravamo noi quelle erano vignette satiriche e oggi invece sono disgustose? Se è satira, è satira sempre. Di cattivo gusto magari. Irrispettosa, sì. Ma sempre satira. Non possiamo far scattare la morale selettiva che individua cosa può essere deriso e cosa no. La satira colpisce in modo indistinto temi molto sensibili, abitudini, popoli, tradizioni, condizioni personali e sociali di ogni tipo, temi scomodi come l’omofobia, la religione, le tragedie, la morte.

Chi ha tracciato il limite arbitrario oltre il quale la satira non si può spingere?

Soprattutto, se anche la vignetta è, per gusto personale, scusate il gioco di parole, di cattivo gusto, non può comunque condizionare la nostra concezione di libertà di espressione e non possiamo saltare dall’ergerci a paladini delle libertà occidentali, che gli attentati dell’Isis cercano di minare, a sostenitori della censura a nostro piacimento. Il problema è che non siamo abituati ad avere a che fare con la satira, quella vera, a casa nostra, ma dobbiamo farci i conti e smetterla di difendere i valori della democrazia, della tolleranza e della libertà di espressione a fatti alterni, a protagonisti alterni.

Quindi, cari tuttologi da grandi occasioni, scendete dalla cattedra e sedetevi di nuovo dietro i banchi di scuola, svestite i panni dei populisti accalappia follower dal like facile, non lasciatevi infervorare dai demagoghi e fatevi pervadere da un pizzico di buon senso.

E, se in tutto questo trovate il tempo, informatevi prima di sparare a zero su fatti di cui non conoscete pressoché nulla, così da evitare di togliere ogni dubbio sulla vostra già evidente scarsa cultura.

Immagine di apertura del post ad opera di Mattia Labadessa.

Scritto da:

Virginia Taddei

Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
Potete contattarmi inviando una mail a v.taddei@inchiostrovirtuale.it