Justice for Noura
Il dramma delle spose bambine è tornato alla ribalta grazie alla mobilitazione internazionale in favore di Noura Houssein, la giovane sudanese condannata a morte per aver accoltellato il marito che tentava di violentarla.

La storia di Noura Houssein all’apparenza potrebbe sembrare simile a quella di moltissime altre sfortunate spose bambine nate nel lato sbagliato del mondo, che arrivano alla nostra attenzione solo grazie alla eco di qualche statistica, ma di cui non conosciamo né i volti né i nomi. Dalle statistiche allarmanti apprendiamo che l’India, secondo i dati di Save the Children, è il paese con il più alto numero di spose bambine, più di 24,5 milioni date in spose prima di aver compiuto i 18 anni. L’Unicef, inoltre, in un rapporto del 2015 individua il Niger, la Repubblica Centroafricana, il Chad e il Bangladesh come luoghi in cui le percentuali raggiungono anche picchi del 76%.


Potremmo pensare di essere immuni da questo fenomeno, che siamo soliti collegare solo a Paesi molto lontani dal nostro, ma in realtà non è propriamente così: oltre ai recenti fatti di cronaca, in Italia le stime parlano di oltre duemila ragazze nate qui e costrette a sposarsi negli Stati di origine.

In Italia il caso di Noura è stato portato alla ribalta da Antonella Napoli, giornalista e presidente di Italians for Darfur, associazione che in passato aveva contribuito alla soluzione di un caso simile, quello di Meriam Ibrahim, donna sudanese condannata a morte per apostasia, all’ottavo mese di gravidanza, e scarcerata sull’onda di una campagna che chiedeva la sua liberazione nel 2015.

Noura Hussein aveva 13 anni quando i genitori la diedero in moglie a un cugino di secondo grado, Abdulrahman Mohamed Hammad, con il doppio dei suoi anni. Grazie all’intervento di una zia, a cui la ragazzina aveva chiesto aiuto, Noura fuggì di casa per rifugiarsi a Sennar, a circa 250km dalla capitale, per due anni. Tornata a casa dei genitori con la promessa che le nozze sarebbero state annullate, Noura fu, invece, consegnata al suo carnefice che la violentò con l’aiuto dei suoi fratelli e di un cugino. Il mattino seguente, ad un nuovo tentativo di stupro da parte del marito, Noura riuscì a liberarsi e a prendere un coltello, finendo però per ferirlo a morte nel tentativo di difendersi.

Dopo essere stata consegnata dalla sua stessa famiglia alla polizia, i parenti del marito hanno rifiutato l’opzione del risarcimento per perdonarla, come previsto dalla legge islamica e hanno preteso che Noura fosse giustiziata. Dopo un anno di carcere, il 29 aprile scorso, un tribunale di Omdurman, applicando la Sharia, l’ha giudicata colpevole di omicidio premeditato e condannata a morte.

I suoi avvocati hanno presentato ricorso avverso la sentenza, invocando la legittima difesa e chiedendo l’annullamento del matrimonio.

Ma l’esito della vicenda è ancora molto incerto. Non solo perché in Sudan è legale contrarre un matrimonio con una bambina di 10 anni e violentare la propria moglie, ma anche perché la settimana scorsa i servizi di sicurezza sudanesi hanno fatto irruzione nello studio a Omdurman dell’avvocato Adel Mohammed Imam, che guida il team legale di Noura, arrestandolo e poi rilasciandolo dopo poche ore al solo scopo di impedire lo svolgimento di una conferenza stampa sul caso prevista quel giorno.


Italians for Darfur, in accordo con gli avvocati di Noura, ha lanciato una mobilitazione internazionale, di cui è capofila, attraverso una petizione su Change.org che ha già raccolto quasi 1 milione e 250.000 firme.

Ci appelliamo al presidente sudanese, Sudan Omar Hassan al Bashir, insieme alle organizzazioni e al popolo del Sudan, affinché riconosca la clemenza a Noura e auspichiamo che questa vicenda possa portare a un cambiamento nella società sudanese affinché si garantisca la protezione e la salvaguardia dei diritti di donne, adolescenti e bambine, come previsto nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite per i diritti fondamentali dell’uomo e indicato dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Antonella Napoli).

In tutto il mondo è esplosa la protesta: la storia di Noura ha avuto enorme eco ed è partita una massiccia campagna per salvarla, come è possibile vedere anche negli hashtag lanciati su twitter #JusticeforNoura e #SaveNoura. In Francia cento donne del mondo dello spettacolo e della cultura, tra cui le attrici Nathalie Baye, Isabelle Huppert e Charlotte Rampling, la filosofa Elisabeth Badinter, il sindaco di Parigi Anne Hidalgo, la soprano Nathalie Dessay e la scrittrice Leila Slimane, hanno pubblicato su Le Monde un appello con cui chiedono clemenza per Noura.

Oltre alla mobilitazione di Italians for Darfur, Noura può anche contare sulla forte pressione esercitata dall’agenzia Onu per le Donne (UN Women), dal Fondo Onu per la Popolazione (Unfpa) e dall’Ufficio Onu del consigliere speciale per l’Africa e alla delegazione in Sudan dei Paesi europei.


Ci sembra doveroso, nel nostro piccolo, sostenere la causa di Noura, firmando la petizione (qui), sperando che anche voi lettori possiate aderire a questa piccola, ma significativa, iniziativa.

Scritto da:

Virginia Taddei

Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
Potete contattarmi inviando una mail a v.taddei@inchiostrovirtuale.it