Auto Falcone Mafia

Nei doverosi tributi alla figura di Falcone, spesso dimentichiamo di prestare la giusta attenzione alla mafia stessa, antagonista di questa storia

Mentre riflettevo su cosa potessi scrivere di non detto su Giovanni Falcone, ho pensato che, nei doverosi tributi dedicati al magistrato siciliano, una cosa paradossalmente viene raccontata meno: la mafia. Oggi (23 maggio 2017, ndr) ricordiamo i 25 anni dalla strage di Capaci in cui lui, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta (Vito Schifani, Rocco Dicillo ed Antonio Montinaro) hanno perso la vita per mano della mafia. Eppure, nella retorica del 23 maggio, solo questo viene detto sull’antagonista di questa storia.

La percezione che si potrebbe avere è che la mafia sia un fenomeno che ha avuto un picco di operatività nei primi anni Novanta, concentrato prevalentemente in Sicilia, e che ora è in condizioni morenti, soprattutto dalla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche animalista dell’ultima ora direbbe che la mafia è più famosa che potente. Niente di più sbagliato!

Senza una corretta conoscenza della mafia non si può comprendere non tanto la morte di Falcone, ma il suo impegno quotidiano contro la mafia. Perché non è stata quella tragica esplosione a renderlo un eroe, ma l’adempimento costante e indiscriminato del proprio dovere. Le celebrazioni non sono mai state un desiderio di Falcone, altrimenti avrebbe cambiato mestiere: la persistente delegittimazione da parte di colleghi, stampa e politici è stato l’unico presente che la società gli ha tributato da vivo.

L’obiettivo di Falcone, invece, era proprio la conoscenza della mafia. Parlare di lui, senza avere un’idea minimamente non stereotipata del fenomeno mafioso, è il peggiore degli insulti alla sua memoria. Finché sopravvivranno luoghi comuni quali quella di una precisa collocazione geografica delle famiglie mafiose oppure quello di trovarsi di fronte a uomini dotati di un ferreo codice d’onore, la mafia avrà sempre un vantaggio su di noi. La mafia non è solo quella che sta al sud, ma è quella che (almeno dai tempi di Luciano Liggio) arriva a Milano, che si è estesa sin da subito in America e che ha un canale preferenziale nel narcotraffico sudamericano.

Non è quella dei picciotti che non si tradirebbero mai, ma è quella che ha ucciso il sanguinario Giuseppe Greco, in arte “Scarpuzzedda”, infallibile e fedele killer di Cosa Nostra, ma di cui Riina temeva l’ascesa, per cui meglio toglierlo subito di mezzo in barba a qualunque patto di sangue. Non immaginiamola come qualcosa che ha fatto il suo corso perché se ne parla sempre meno, perché è frutto di una strategia molto diversa e più subdola (voluta soprattutto da Provenzano) rispetto a quella estremamente più spregiudicata e aggressiva messa in atto da Totò Riina.

Ma non raffiguriamola neanche come qualcosa di invincibile. Quando sento che la mafia non può essere battuta mi vengono in mente le parole di un testimone dell’omicidio di Placido Rizzotto (un altro che è morto per contrastare la mafia), che solo dopo anni di silenzio ammise di aver assistito alla scena; nella testimonianza è stata involontariamente redatta quella che per me è la sintesi perfetta della lotta al crimine organizzato:

“Era il nostro eroe, eppure lo abbandonammo. Sarebbe bastato che ciascuno di noi raccogliesse un sasso da terra, e li avremmo sopraffatti”.

È tutto qui: scagliare la prima pietra, con o senza peccati a proprio carico.

Non pensiamo neanche che la mafia sia qualcosa che non incroceremo mai nelle nostre vite. L’articolo 416-bis, introdotto dalla legge Rognoni-La Torre (dal nome di Pio La Torre, altro eroe eliminato per il suo impegno contro la mafia), recita:

“L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

Dubito che qualcuno non dovrà mai fare i conti nella propria vita con tentativi di intimidazione o di assoggettamento di diverso tipo. Dagli esempi virtuosi di Falcone, Borsellino, La Torre, Impastato, Dalla Chiesa, Rizzotto, e tanti altri che andrebbero citati, bisogna trarre ispirazione per affrontare queste situazioni nel proprio piccolo, senza necessariamente immolarsi come fatto da loro. Il 23 maggio potrebbe tranquillamente essere la festa di tutte quelle persone che non si sono piegate in vita, e allora si potrebbe celebrare anche Giacomo Matteotti, che non si piegò al fascismo, nonostante fosse conscio del destino che lo avrebbe atteso.

In ultimo, un appello che so essere a cuore a molti. Il racconto della mafia ha raggiunto pressoché qualunque mezzo di comunicazione: dalla televisione, prodiga di fiction in materia, passando per il fumetto, si è cercato di far arrivare il racconto della mafia al bacino d’utenza più ampio possibile. In questo caso anche l’omologazione dei contenuti dei social rivela una propria utilità. L’ultimo passo per migliorarne la diffusione è quello di parlarne a scuola.

Attualmente il tema viene affrontato dagli studenti solo grazie a iniziative personali di professori encomiabili, ma non è sufficiente. In un’istruzione già deficitaria sotto il punto di vista dell’educazione civica, far venire meno anche esempi di senso civico è una privazione troppo grande nella formazione dei cittadini.

Consigli di lettura

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Scritto da:

Lorenzo Picardi

Avvocato e pubblicista, non giudicatemi male. Per deformazione professionale seguo qualunque fatto d'attualità. Non sono malato di sport, mi limito a scandire i periodi dell'anno in base agli eventi sportivi. Ogni tanto provo a fare il nerd, con risultati alterni.
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