ISIS - attacco al parlamento di Londra

I recenti attacchi di Londra e San Pietroburgo hanno di nuovo portato la nostra attenzione sull’Isis e i suoi attacchi, imprevedibili ma sempre più confusionari. Forse l’ombra di un autentico passo indietro?

Dopo l’attentato del 22 marzo davanti al parlamento di Westminster rivendicato dall’Isis, a Londra non si è fatta attendere la risposta dei politici; il Sindaco Sadiq Khan, da una parte, ha affermato:

I londinesi non si faranno mai intimidire né piegare dal terrorismo.

E la premier Theresa May dall’altra:

Non cederemo mai al terrorismo. Il male non ci sconfiggerà, i nostri valori sono più forti e vinceranno. Non abbiamo paura.

Altrettanto stanno dimostrando i russi con molteplici manifestazioni di solidarietà a seguito dell’attentato alla metro di San Pietroburgo che la stampa araba, nonostante ancora non siano ben chiare le dinamiche che hanno portato all’esplosione delle due bombe, ha collegato all’intervento della Russia in campo siriano. Infatti, già il 17 agosto scorso, due seguaci del sedicente Stato Islamico presero d’assalto un posto di blocco della polizia a dimostrazione del fatto, secondo il Califfato, che in Russia sono annidiate cellule dell’Isis pronte a intervenire.

L’Isis ha poi pubblicato su Telegram un audio di 36 minuti in cui il portavoce ufficiale Abu Al-Hasan Al-Muhajir ha lanciato un appello affinché i jihadisti attacchino l’Europa, la Russia e gli Stati Uniti. Questo è il secondo discorso di Al-Muhajir, dopo quello con cui nel Dicembre 2016 invitò ad aumentare in modo massiccio l’intensità degli attacchi in Occidente, prevedendo un’espansione consistente del Califfato in tutta Europa.

Nonostante questo però un’analisi attenta degli ultimi avvenimenti ci permette di riflettere sul fatto che l’intensità di questi attacchi terroristici è tutt’altro che aumentata e che anche l’esecuzione sta diventando molto discutibile. Gli attacchi infatti non sono più diretti dai vertici dell’organizzazione ma sono solo ispirati, che è ben diverso; a colpire non sono più commando ben organizzati ma i cosiddetti “lupi solitari”, che agiscono con poca premeditazione e a volte in modo molto confuso; senza dimenticare che spesso vengono rivendicati attacchi che sembrano di dubbia matrice con il solo scopo di diffondere terrore tra la popolazione. La cosa che più facilmente possiamo sottolineare è che questi attacchi sono ideati in modo diverso da quelli che furono i pesantissimi, in termini di bilanci, attacchi di Nizza, che per l’ennesima volta in meno di due anni mise in ginocchio la Francia, o anche dei ravvicinati attacchi di Istanbul, Dacca e Baghdad.

Ciononostante l’Isis resta ancora un argomento tabù e di fronte al quale molti storcono il naso perché troppo si presta a dare voce a chi parla per luoghi comuni, senza cognizione di causa e alimentando pensieri sbagliati. Lo Stato Islamico è a tutti gli effetti una organizzazione estremista, che considera la Jihad globale un dovere di ogni musulmano e diffonde un’interpretazione radicale e antioccidentale dell’Islam, promuovendo la violenza religiosa. Ma qui nasce il primo errore, fatto da media, politici e semplicisti. Il terrorismo non ha religione. E in questo momento di apparente regressione del fenomeno questo fatto non va sottovalutato. Ecco perché non bisogna dimenticare che se è vero che tutti i miliziani dell’ISIS si professano musulmani, è vero anche che non tutti i musulmani fanno parte dell’ISIS.

Infatti, i musulmani di tutto il mondo si erano subito uniti intorno al grido #NotInMyName già dopo gli attenti di Parigi e in Mali di due anni fa. Cosa stavano cercando di dirci? L’Islam non è violenza e infatti non sono mancati anche in queste ultime occasioni le voci dei musulmani per distaccarsi da questi comportamenti considerati contrari ai valori fondanti dell’Islam. Unanime è stata la condanna dei Paesi islamici: da Yousef Bin Ahmad Al-Othaimeen, segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, al Consiglio di cooperazione del Golfo fino al Segretario generale della Lega Araba, tutti hanno descritto questi attacchi terroristici come incompatibili con tutti i valori e principi dell’umanità. Ma non solo, sul ponte di Westminster, a Londra, donne musulmane hanno voluto manifestare la loro solidarietà alle vittime e ripudiare l’attentato, formando una catena umana, unite dal grido #WeStandTogether.

ISIS: quando la quotidianità diventa pericolosa. Foto 1: donne musulmane sul ponte di Londra

Purtroppo però, ogni volta che il terrorismo colpisce in nome dei musulmani, ciò non fa altro che ingenerare la paura del diverso, alimentando l’odio e i falsi allarmismi. Per questo è fondamentale che la politica faccia il suo dovere, senza alimentare la paura e approfittando per raccogliere consensi, trovando invece una risposta che dia sicurezza ai cittadini senza limitarne le libertà.

Certo la situazione che stiamo vivendo è inedita. Mai ci eravamo trovati di fronte a terroristi, veri o presunti, così disposti a colpire a caso nella folla indistinta durante un giorno di festa, in un centro commerciale come in un aeroporto, allo stadio come in una sala concerti, in strada come in una metro, alimentando la paura e la sensazione di vivere in un pericolo incontrollabile. In particolar modo ci troviamo disorientati di fronte ai “foreign fighters”, i quali pur non essendo nati nei Paesi in cui si è stabilito il Califfato, decidono di affiliarsi allo Stato islamico, abbracciandone le ideologie e i metodi di combattimento, e di partire dall’Occidente per addestrarsi in Medio Oriente, facendo poi ritorno e colpendo il mondo dal quale provengono. Attualmente questo fenomeno risulta molto difficile da controllare perché l’opera di proselitismo non avviene solo in luoghi fisici, ma soprattutto sul web. E questo ha prodotto un cambio di prospettiva nella nostra quotidianità. La figura del terrorista è cambiata. Non dobbiamo più chiederci da dove provengono, ma piuttosto dovremmo guardarci intorno perché il prossimo potrebbe essere il nostro insospettabile vicino di casa.

E non solo. Non sono neanche più gli obiettivi sensibili ad essere presi di mira, sono i luoghi di lavoro, di ritrovo, dove la “gente normale” vive. Ecco allora che si diffonde una paura incontrollata anche per fare le cose più semplici della nostra quotidianità: prendere la metro, un aereo, andare a fare la spesa, uscire a cena con gli amici.

A cosa siamo disposti a rinunciare per far fronte a questa paura? Siamo disposti a sacrificare diritti e libertà in nome della sicurezza? E allora se è vero, come gridano a gran voce i nostri politici, che l’opzione declino non è contemplata, non ci resta che trovare la giusta reazione, possibile solo con la cooperazione internazionale dei governi. Ma noi, “gente normale”, dobbiamo affrontare il vero nemico, e il vero nemico è la paura, si pensa che sia l’odio ma è la paura, come ci insegna Gandhi. Certo la paura è parte della natura umana ma la si può combattere non lasciando che ci rubino la quotidianità, la spensieratezza di viaggiare, di uscire a divertirci. Come dalle parole di Paolo Giordano “dobbiamo evitare di vivere in un eterno coprifuoco emotivo”.

Non possiamo e non dobbiamo sentirci in gabbia a casa nostra.

Scritto da:

Virginia Taddei

Avvocato e redattrice, nonché co-fondatrice di Inchiostro Virtuale.
Potete contattarmi inviando una mail a v.taddei@inchiostrovirtuale.it