Fiera dei santi patroni Faustino e Giovita
Il 15 febbraio, a Brescia, si festeggia due volte.

Anzi, facciamo tre: la prima perché il famigerato rituale di coppie romantiche ed innamorate è finalmente passato – e non se ne parla più fino all’anno prossimo -, la seconda perché è la festa dei “single e felici”, la terza perché c’è la fiera di San Faustino.

San Faustino – Patrono di Brescia

Anzitutto si fanno le cose in grande, eh sì, a partire dai Santi da celebrare, che sono due: Faustino e Giovita.
Chi erano ‘sti due pezzi da novanta da meritare addirittura una fiera?

Faustino e Giovita

La storia narra che fossero due nobili di famiglie bresciane, arruolati fin da giovani nell’ordine equestre e divenuti quindi cavalieri. Convertiti al cristianesimo (ormai quasi divenuto di moda verso il 100 d.C.), furono perseguitati in varie maniere: trasferiti a Milano, Roma, Napoli e poi riportati a Brescia dove furono decapitati, appunto, il 15 febbraio.
Seppelliti nel cimitero di San Latino, sopra cui il vescovo Faustino (anche questo poi divenuto “San”) costruì la chiesa di San Faustino ad Sanguinem, poi chiamata Sant’Afra ed oggi Sant’Angela Merici. Le loro reliquie attualmente riposano nella chiesa omonima, nella omonima via San Faustino.

La loro esistenza è stata confermata anche dal Legenda Maior, la biografia di san Francesco d’Assisi (scritta in latino da Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell’Ordine dei Frati Minori ed approvata dal capitolo generale di Pisa nel 1263), senza dubbio in forma romanzata o, in ogni caso, un tantino di parte.

Faustino e Giovita - opera di Vincenzo Foppa
Faustino e Giovita – opera di Vincenzo Foppa

La leggenda dei due Santi

Si tramanda che i due cavalieri, una volta convertiti al cristianesimo col battesimo impartito dal vescovo Apollonio (lo stesso che poi nominò Faustino presbitero e Giovita diacono), subirono nell’ordine una serie di torture.

  • La prima incarcerazione fu a seguito del rifiuto di abiurare e sacrificare agli dèi, su minaccia di decapitazione, ad opera di Italico, governatore della Rezia, autorizzato da Traiano prima e dall’imperatore Adriano poi.
  • Furono dati in pasto alle belve del circo, su ordine di Adriano stesso, a seguito del nuovo rifiuto di sacrificare al dio sole. Gli animali però si accovacciarono ai loro piedi, totalmente mansueti, e questo portò alla conversione dei presenti, tra i quali la stessa moglie di Italico, Afra, e un certo Calocero, ministro del palazzo imperiale nonché comandante della corte pretoria.
  • Sempre Adriano, abbastanza alterato dagli eventi, ordinò che fossero scorticati vivi e messi al rogo, ma il fuoco li lasciò illesi.
  • La seconda incarcerazione avvenne a Milano, dove furono nuovamente torturati e subirono il supplizio dell’eculeo, ma anche in questa prigionia ci furono eventi miracolosi, come l’uscita dal carcere dei due per incontrare e battezzare San Secondo.
  • Furono quindi deportati a Roma, al Colosseo, di nuovo dati in pasto alle belve che, ancora una volta, si ammansirono ai loro piedi.
  • Inviati a Napoli per nave, durante il viaggio sedarono una tempesta.
  • A Napoli furono nuovamente torturati e abbandonati in mare su una barchetta, ma riuscirono a tornare a riva (“con l’aiuto degli angeli”).
  • Riportati a Brescia, sempre su ordine di Adriano, il nuovo prefetto eseguì l’ultima condanna, ossia la morte per decapitazione. E questa fu la volta buona.
Sarà tutto vero?

No. Non ci sono documentazioni storiche che testimoniano di una eventuale diretta conoscenza tra Faustino, Giovita e l’imperatore che, da quanto risulta, non ordinò mai direttamente una persecuzione, ma semplicemente non intervenne per impedirle, nei vari angoli dell’impero.
Il culto dei due santi si diffuse verso l’VIII secolo, periodo in cui fu scritta la leggenda, prima a Brescia e poi per mezzo dei Longobardi in tutta la penisola e in particolare a Viterbo.

Il loro patronato sulla città fu confermato a causa di una visione dei due santi che combattevano a fianco dei bresciani contro i milanesi nello scontro decisivo che fece togliere l’assedio alla città, il 13 dicembre 1438, fermando, sempre si dice, le cannonate con le mani nude, alzate a mo’ di scudo.

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Via San Faustino e Piazza Rovetta in un’immagine d’epoca

La cerimonia del Capél

Merita una menzione questo complesso, pur nella sua semplicità, cerimoniale, in vigore fin dal medioevo.

È usanza infatti fin da allora che i reggenti del Comune chiedessero ai santi martiri di difendere la città dalle “multas et varia tribulationes et tyrannorum truculentias“. La richiesta di appoggio viene presentata la domenica precedente al 15 febbraio, durante la celebrazione della Santa Messa ab omni malo, quando sindaco e rappresentanti di Giunta e Consiglio consegnano al parroco della parrocchia di San Faustino la pergamena contenente la delibera della Giunta, che invoca la protezione dei Santi su tutti gli abitanti della città.

Simboleggia l’accoglimento della richiesta di protezione la consegna del galero rosso, che il Sindaco di Brescia riceve il sabato successivo dalle mani del parroco. Il galero rosso è un cappello prelatizio, suggella l’accoglimento della domanda di sostegno e viene custodito nel palazzo comunale fino alla fine delle festività per San Faustino.

Cerimonia del Galero Rosso
Cerimonia del Galero Rosso

Festa dei Single

Se San Valentino è tutto un crogiolo di cuoricini, cioccolatini e altra roba indecentemente fluffettosa, da far cariare i denti per almeno un decennio a seguire, il 15 febbraio il romanticismo è off limit, vietato quasi per legge.

San Faustino è la festa dei single, di tutti i tipi di single: quelli in cerca della propria metà e quelli che di compagni, o compagne, non ne vogliono sapere proprio nulla. In questa data, secondo una tradizione di origine medievale, il Santo dava l’opportunità alla giovani fanciulle di incontrare il loro futuro marito, quindi, in contrasto anche con le convinzioni di coloro a cui non interessa convolare a nozze, il giorno della loro festa non è nient’altro che un auspicio per un incontro con la propria anima gemella.

Non per altro, ma il nome Faustino (come Fausto) viene dal latino e significa propizio, favorevole.
E dopo aver trovato la propria (dolce) metà si cambia “festa” e si diventa devoti a San Valentino, ma questa è un’altra storia.

La fiera di San Faustino a Brescia

Perché andare alla fiera? Beh, prima di tutto perché è un rito. Una di quelle cose da fare almeno una volta nella vita, una sorta di obbligo morale per ogni bresciano che si rispetti.

Poi perché è una fiera dove ogni anno si trova qualcosa di nuovo e originale, dalle varie scope con la prolunga ai tappeti magici che fan sparire lo sporco, a un sacco di cianfrusaglie che finiscono, inutilizzate, in un cassetto. Non manca mai la bancarella del venditore di piatti: un rumore di ceramica incredibile unito alla voce del battitore, che si chiama così proprio perché “batte” i piatti sul bancone, tanto che ci si domanda come cavolo faccia a non romperne nemmeno uno.

Fiera di San Faustino in Piazza della Loggia
Fiera di San Faustino in Piazza della Loggia

Per stuzzicare lo stomaco sono da cercare, in fiera, “biline e biscòcc” (biline e biscotti). Le biline sono le castagne secche sbucciate, da mangiare lessate. E ancora la farina di castagne, in una versione più semplice del castagnaccio: la patùna, dolce povero a base di farine di castagne, di cui si dice “Patùna, piö bèla che buna” (più bella che buona). Generazioni di bresciani sono cresciute a patùna e a biline in tutte le salse.

E poi… l’immancabile “èl tirapicio”.

Intorno agli anni Sessanta i venditori versavano sul bancone di zinco lo zucchero, il miele e la melassa. Impastavano gli ingredienti fino ad ottenere una matassa densa, si sputavano sulle mani (sì, anche in pubblico, non si formalizzavano molto) e attaccavano la matassa elastica a un gancio fisso. Tiravano poi la matassa quasi un metro, quindi la arrotolavano su se stessa, la riallungavano e di nuovo la arrotolavano. Alla fine tagliavano questa striscia dolce in tanti bastoncini per poi farla indurire definitivamente.

Seriamente, avete ancora bisogno di ulteriori incentivi per festeggiare alla bresciana maniera il 15 febbraio?
Io vi aspetto. Alla prima bancarella di tirapicio, ovviamente.

Annalisa A.

Scritto da:

Annalisa Ardesi

Giunta qui sicuramente da un mondo parallelo e da un universo temporale alternativo, in questa vita sono una grammar nazi con la sindrome della maestrina, probabilmente nella precedente ero una signorina Rottermeier. Lettrice compulsiva, mi piace mangiare bene, sono appassionata di manga, anime e serie TV e colleziono Lego.
In rete mi identifico col nick Lunedì, perché so essere pesante come il lunedì mattina, ma anche ottimista come il “primo giorno di luce”.
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