Carnevale di Ivrea: la battaglia in Piazza di Città

Da Ivrea a Lecco 

Il mio interesse per il Carnevale è nato solo quando sono approdato a Ivrea; avevo 26 anni ed entravo nel mondo del lavoro. Da lì in avanti mi è stato impossibile ignorarlo, il Carnevale e le battaglie delle arance sono momenti essenziali nella vita di chi abita a Ivrea.
Da alcuni mesi a Lecco, tra i mutamenti da affrontare mi troverò tra qualche giorno anche il Carnevale. Diverso per storia, riti e attrazione esercitata sui locali, per adesso mi sembra di aver colto che sia, in buona misura, un evento marginale per i lecchesi.

Una volta anticamente a Ivrea

Il carnevale di Ivrea ha un inno, che ho avuto il piacere di ascoltare dal giovedì al martedì di Carnevale di ogni anno, nell’aria fredda di fine inverno intrisa di profumo di succo di arance.
Cosa succedeva anticamente? Difficile scrivere una sintesi in poche righe della storia rievocata dal Carnevale di Ivrea. Cominciamo col dire che è una rievocazione nella rievocazione.

I primi personaggi: il Generale e il Brillante Stato Maggiore

Il primo frame ci riporta agli inizi dell’800, le truppe napoleoniche controllano il Piemonte, con diverse gatte da pelare. A Ivrea, ad esempio, devono vedersela con le risse che ogni anno animano i festeggiamenti del Carnevale. Occorre mettere ordine, ma i Francesi preferiscono non farlo d’autorità, bensì ricorrendo alla collaborazione degli indigeni.
La trovata è geniale: cedono per finzione il controllo della città a un Generale, circondato dal suo Brillante Stato Maggiore affiancato dalle Vivandiere, tutti in autentica divisa napoleonica. Sarà loro compito, per la durata del Carnevale, tenere a bada i concittadini rissosi.

E ora la regina del Carnevale, la Vezzosa Mugnaia

Il secondo frame ci riporta molto più indietro, al Medioevo, e viene introdotto a metà dell’800, in pieno Risorgimento. Ispirandosi agli ideali di Libertà molto in voga in quel momento, viene rispolverato un episodio di ribellione al tiranno, anzi due.
Il primo tiranno tirato in ballo è Ranieri di Biadrate, contro cui gli Eporediesi insorsero nel 1194, distruggendone il castello (il Castellazzo).
Nella rievocazione del Carnevale questo signore pretendeva lo ius primae noctis dalle spose della città. Gli andò liscia finché non toccò a Violetta, graziosissima (Vezzosa) fresca sposa di tale Toniotto, e figlia di un mugnaio. Per inciso, il papà di Violetta svolgeva il suo lavoro quasi sicuramente in un mulino fluviale, un genere diffuso lungo il Po e i suoi affluenti maggiori a partire dai primi secoli dopo Cristo, fino a metà del secolo scorso (ricordate Il mulino del Po di Bacchelli?).

C’è in verità un briciolo di confusione storica nell’identificazione del tiranno, che in alcuni passaggi delle celebrazioni sembra essere non Ranieri di Biadrate ma il marchese Guglielmo VII del Monferrato. Pure lui un bel tipino, dominò Ivrea per soli sei anni a partire dal 1266, ma riuscì ugualmente a farsi odiare caricando di tasse i cittadini.

Ed eccoci alle arance

Violetta non cedette alla violenza, anzi nascose un pugnale con il quale trafisse e decapitò Ranieri, elevandolo all’istante alla condizione di buonanima. Poi si affacciò alla finestra del Castellazzo e mostrò con orgoglio il suo trofeo. Quello fu il segnale della rivolta.
Le arance del Carnevale di Ivrea simboleggiano proprio la testa decapitata del tiranno, mentre la Battaglia delle Arance simboleggia la rivolta.

La battaglia: aranceri sui carri contro aranceri a piedi, si tira in quattro piazze. Delle squadre in competizione alcune sono storiche (Scacchi, Scorpioni, Arduini…) altre più recenti. I carri delle varie squadre sfilano in corteo entrando uno ad uno nelle varie piazze, percorrendole avvolti in un turbinio di arance. Si tira senza pietà, arance gelate dall’inverno cadono come pietre sugli appiedati, schizzi di succo penetrano nelle maschere e arrivano agli occhi degli aranceri sui carri.
Intanto la Mugnaia, tra un carro e l’altro, sfila per le vie della città, insieme ai Pifferi, al Generale, agli Ufficiali, lanciando caramelle e rametti di mimosa sulla folla acclamante.

Il tutto vissuto con autentico senso sportivo, tanto che a vincere la gara del Getto delle arance sarà la squadra più combattiva e leale. In chiusura ogni quartiere brucia lo scarlo, palo rivestito di erica e ginepro con in cima una banderuola. Se la fiamma sale veloce alla banderuola, se ne trae un lieto auspicio. Se non sale veloce credo che ci si convinca che, tutto sommato, è andata su abbastanza alla svelta.

Un Carnevale indimenticabile

Il Carnevale come essenza di vita, scrivevo all’inizio. E infatti l’eporediese attaccato alla tradizione del Carnevale riduce le ferie estive e natalizie al minimo della chiusura aziendale, pur di assicurarsi una settimana di ferie per prepararsi e partecipare alle battaglie delle arance. E vale sia per gli che per le eporediesi: non sono poche, infatti, le fanciulle che tirano. A essere coinvolto è spesso anche chi non vive e lavora più in zona, ma ritorna a Ivrea giusto per il Carnevale.

Poi il destino mi ha portato a Lecco

Quest’anno avrò invece modo di seguire per la prima volta il Carnevale lecchese.
Di certo cambia la musica, e non solo quella. Dalla sintesi offerta da Youtube di alcune edizioni passate, come quella del 2013, deduco che la storia da raccontare sia un po’ più contenuta.

L’ispirazione? Il Resegone e la Grigna

Al posto del Generale e della Vezzosa Mugnaia, qui troverò il Re Resegone e la Regina Grigna.
Lui, il Re, nasce nel 1884, in puro spirito carnevalesco, senza pretesti di rievocazione storica. Qualche anno dopo arriva la Regina, inizialmente rappresentata da un maschio, essendo sconveniente che una donna apparisse in pubblico in una rappresentazione godereccia.
Il tutto si spegne agli inizi del ‘900 e riprende poi negli anni ’50. Procede a singhiozzo, fino al 1996, quando viene introdotta la simbolica consegna delle chiavi della città al Re e alla Regina, e la celebrazione diventa stabile.

Montagne molto amate da queste parti (conto di imparare ad amarle anch’io, da questa primavera), per chi arriva da altri luoghi, il Resegone e la Grigna lasciano un po’ a desiderare come nomi di personaggi.
Del Resegone il Manzoni dava questa descrizione: “… il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega“. Quanto a Regina Grigna, il nome mi evoca più una signora sdegnosa che una bella figliola (poi la realtà è ben diversa, ma la prima lettura del nome dà quella impressione).

Di battaglie non si parla, ma la presenza dei carri allegorici e di tanta allegria è assicurata.

Qui si va di rito ambrosiano

Ecco, questa è una differenza importante tra i due Carnevali: a Lecco si segue il rito ambrosiano milanese, quindi la chiusura del Carnevale cade il sabato e non il martedì.

Non è che a Lecco (e Milano) esagerino in festeggiamenti allungando il Carnevale, è la quaresima milanese che, per volere di S. Ambrogio, è diversa: quaranta giorni tutti filati di penitenza, includendo le domeniche.

Facendo due conti: la Pasqua cade nella prima domenica successiva alla prima luna piena di primavera. Un casino computazionale, ma questo lo affrontiamo dopo. Vediamo come funziona nel 2017:

  1. il 21 marzo parte la primavera, e la luna è a metà, calante;
  2. per la prima luna piena di primavera bisogna attendere l’11 aprile, un martedì;
  3. quindi Pasqua cade la prima domenica successiva, il 16 aprile.

La Quaresima milanese termina il giovedì santo (13 aprile) e comincia 40 giorni prima (domenica 5 marzo). E quindi il Carnevale finisce il giorno prima, sabato 4 marzo.

Lontani da Milano le cose procedono in modo lievemente diverso: la Quaresima finisce il giorno prima di Pasqua (quindi il 15 aprile), e per trovare l’inizio occorre tornare indietro di 40 giorni, saltando le domeniche, escluse dalla penitenza. Così si arriva al mercoledì (delle Ceneri), che quest’anno capita il primo marzo. Il Carnevale chiude il giorno prima, martedì grasso, il 28 febbraio.

A cosa è dovuta la mobilità della data della Pasqua?

Il nostro calendario esordisce nel 1582, grazie a Papa Gregorio XII. Da qui il nome di calendario gregoriano.
È un calendario solare, nel senso che si basa sul ciclo di rivoluzione (rotazione) della Terra intorno al Sole. Mentre compie il suo giro intorno al Sole, la Terra ruota anche intorno al proprio asse, generando il ciclo giorno-notte.
Se la durata di una rivoluzione fosse un numero intero di giorni (esempio: 365 giorni), avremmo anni con una durata in giorni costante. Non essendo così (un anno dura 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi), occorre recuperare circa un giorno ogni quattro anni. Da qui derivano gli anni bisestili di 366 giorni, distribuiti uno ogni quattro anni, escludendone uno ogni 400 anni, ma non i millenni. E già questa semplice non è, ma arriva un’altra complicazione.

La nostra Pasqua rievoca la crocefissione e la resurrezione di Gesù, avvenuta in prossimità della Pèsach (Pasqua ebraica). La sua data deve quindi agganciarsi al calendario ebraico, che è lunisolare, cioè combinazione di un calendario basato sul ciclo della Luna e di uno basato sulla rivoluzione della Terra intorno al Sole.
La ricorrenza delle festività religiose ebraiche (come la Pèsach) agganciata a questo calendario, è quindi mobile rispetto al nostro gregoriano.

In nostro aiuto arriva Gauss, con la sua aritmetica modulare

Calcolare la data di Pasqua è decisamente complesso: occorre determinare l’occorrenza della prima luna piena di primavera. Fino agli inizi dell’800 il calcolo fu gestito mediante tabelle, poi nel 1816 il grande matematico Carl Friedrich Gauss descrisse un algoritmo di esecuzione decisamente più semplice.

Una sintetica descrizione del metodo di Gauss è alla base di una esercitazione matematica proposta dal Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Milano.
L’algoritmo fa uso intensivo dell’aritmetica modulare, introdotta proprio dal grande matematico tedesco nel 1801. In breve, la funzione modulo lavora così:

mod(N, m) è il resto che si ottiene dividendo N per m
esempio: mod(30,7) = 2, perché 30 = 4 * 7 + 2

Detto questo, il programma da realizzare non è complicatissimo. Buon divertimento!

Scritto da:

Pasquale

Mi chiamo Pasquale Petrosino, radici campane, da alcuni anni sulle rive del lago di Lecco, dopo aver lungamente vissuto a Ivrea.
Ho attraversato 40 anni di tecnologia informatica, da quando progettavo hardware maneggiando i primi microprocessori, la memoria si misurava in kByte, e Ethernet era una novità fresca fresca, fino alla comparsa ed esplosione di Internet.
Tre passioni: la Tecnologia, la Matematica per diletto e le mie tre donne: la piccola Luna, Orsella e Valentina.
Potete contattarmi scrivendo a: p.petrosino@inchiostrovirtuale.it